lunedì 11 ottobre 2010

C'è vita nel PD, almeno sulla riforma dell'università!

Miracolo! Per una volta, il PD ha dato un segno di vita su un tema di grande importanza, nonché di grande attualità anche se nessuno ne parla: ha mandato una mail. Non è ironia, giuro, è una cosa che mi ha davvero colpito positivamente. Nei vari gruppi facebook creati in questi giorni per costruire la protesta contro il ddl Gelmini è girato un messaggio in cui si invitava a mandare mail ai capogruppi dell'opposizione alla Camera per sollecitarli a prestare la dovuta attenzione al progetto che dovrebbe essere, più o meno a breve, approvato dal Parlamento. Diligentemente, ma pensando che questo tipo di dimostrazione è spesso ignorato dai suoi destinatari, ho copiato e incollato il messaggio (IL FUTURO DEL SAPERE NON SI DECIDE A COLPI D'ASCIA.UNA RIFORMA SI DISCUTE, NON SI IMPONE!) e l'ho inviato agli indirizzi che venivano suggeriti. Una nota curiosa, per dimostrare come l'opinione pubblica, almeno quella più sensibile e attenta, sia spesso più avanti della rappresentazione della politica che si dà sui giornali e in tv: tra gli indirizzi figurava anche quello dell'onorevole Bocchino, capogruppo dei deputati dei finiani di Futuro e Libertà. E oggi, sorpresa delle sorprese: aprendo la mail, trovo una risposta dalla redazione del partito democratico, inviata in copia al responsabile università e ricerca del PD, con lo stesso oggetto del messaggio che molte persone come me avevano inviato all'indirizzo del partito. Nel testo, una dettagliata risposta che per la positiva meraviglia che ha destato in me merita di essere riprodotta più in basso.

Dobbiamo essere ridotti proprio male, se basta così poco per farci pensare che gli unici rappresentanti del centrosinistra che sono rimasti in Parlamento meritino ancora un briciolo della nostra fiducia e siano quanto meno consapevoli di quello che succede sotto al loro naso e che gli elettori di quello schieramento chiedono loro di bloccare. I deputati del PD non sono lì grazie al mio voto, che è stato annientato da quella che ritengo un'iniqua soglia di sbarramento, ma credo che vada dato loro atto di un'attenzione particolare che non è sempre dato riscontrare nella politica, spesso persa a parlare di primarie e linea del partito. C'è da sperare che questi flebili segnali si traducano in ulteriori passi avanti e non si fermino di qui a poco, come nelle più classiche manifestazioni di tafazismo della sinistra italiana.

Il futuro del sapere non si decide a colpi d'ascia. Una riforma si discute, non si impone!

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Da:

redazione

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A: redazione@partitodemocratico.it

Cc: m.meloni@partitodemocratico.it

Carissimi,

il Gruppo del Partito Democratico alla Camera ha ottenuto di affrontare la discussione del DDL Gelmini in tempi ordinari: la discussione in Aula dunque è programmata per il 14 ottobre, e successivamente dovrebbe proseguire dopo la sessione di bilancio. Abbiamo impedito un’accelerazione irragionevole dei tempi, che avrebbe impedito qualsiasi spazio di confronto. Ora, di fronte a una pressione assai intensa, stiamo mantenendo ferma la nostra posizione: chiediamo di entrare nel merito delle nostre proposte, per cambiare radicalmente un provvedimento che, così com’è, è profondamente sbagliato. Una legge inutile e dannosa, che non risolve alcuno dei problemi dell’università italiana, ma è utile soltanto a rendere stabili i tagli delle risorse e a ridimensionare il sistema universitario italiano. Il contrario di quello che serve al Paese.

Di fronte alle minacce di ulteriori accelerazioni dei lavori parlamentari oggi il capogruppo Franceschini ha confermato che riteniamo importante l’approvazione di una riforma dell’università, ma che l’attuale proposta del governo è profondamente sbagliata, ponendo le condizioni perché la discussione in Aula si tenga anche durante l’esame della legge di bilancio.

Si tratta di 5 punti centrali, contenuti nei nostri emendamenti, che vi riassumo:

1) l'abolizione dei tagli degli ultimi due anni, pari a un miliardo e 355 milioni di euro, dando invece all'universita' piu' risorse per raggiungere in 10 anni la media OCSE; 2) la predisposizione, per gli studenti meritevoli e privi di mezzi, di adeguate borse di studio; 3) per quanto concerne la carriera docente, no al precariato con il contratto unico formativo di ricerca ma si' a norme affinche' si arrivi in cattedra in 6 anni (tenure track “vero”, con la programmazione delle risorse già all’attivazione del primo contratto triennale); 4) un piano straordinario, con selezione, per portare in 6 anni i 15.000 ricercatori, strutturati e precari, nel ruolo di professore; 5) l'adeguamento dell'eta' pensionabile dei docenti alla media europea, con sblocco del turn-over e utilizzo di tutte le risorse liberate per nuovi professori e nuovi ricercatori con contratto tenure track.

Vi allego anche il documento più esteso con l’insieme delle nostre proposte presentate alla Camera, che costituiscono, per il PD, la base per fare di questo provvedimento un fattore di miglioramento del sistema universitario e di investimento nella ricerca e nel sapere, rovesciando la logica fin qui perseguita dal governo.

Saluti carissimi,

Marco Meloni

Responsabile Università e Ricerca Partito Democratico

sabato 14 marzo 2009

i figli degli altri

Ieri, al termine del Consiglio dei Ministri, il titolare del Welfare ha tenuto una lunga conferenza stampa per spiegare agli Italiani le misure adottate dal Governo per affrontare la crisi. Non le misure strettamente economico-finanziarie, ma quelle relative agli ammortizzatori e in generale all'impatto sociale dell'attuale situazione. In questa occasione, scontato il riferimento ai giovani, che in questa fase hanno ancor più difficoltà del solito a trovare un lavoro. Da qui all'università il passo è stato breve: Sacconi ha invitato i ragazzi ad accettare in questo momento un qualsiasi tipo di occupazione, sostenendo che questo sia positivo in questo momento per il mantenimento di alti livelli occupazionali e, inoltre, che ciò verrà valutato positivamente quando, al termine della crisi, i ragazzi potranno avere un "lavoro vero", coerente con il percorso di studi scelto. Il ministro ha fatto un riferimento esplicito a quelle lauree definite "poco appealing" come scienze della comunicazione, e ai relativi laureati, che non potrebbero lamentarsi di non trovare un lavoro data la facoltà scelta. Praticamente il ministro ci ha detto che coloro che sono caduti in una trappola, tesa da suoi coetanei e magari amici per avere cattedre e onori, adesso devono arrangiarsi a fare lavori anche manuali perché il mercato ha deciso che quelle lauree non interessano a nessuno. Praticamente l'esatto fallimento della funzione che io attribuisco all'università. Un giornalista ha quindi chiesto: "in un Paese in cui i figli dei notai fanno i notai e i figli dei giornalisti fanno i giornalisti, non è un po' strano chiedere ai figli degli altri di fare i fattorini?". La domanda è ben posta, direi. Che le corporazioni esistano, soprattutto in Italia, è un dato di fatto. Ma che i figli degli altri non possano godere neanche di una possibilità, data dall'università, di poter scegliere cosa fare, anche in un periodo di crisi, credo che sia il minimo che si possa chiedere a un sistema formativo degno di questo nome. Su una cosa ha ragione il ministro: molto spesso la domanda è indotta dall'offerta. In questo caso, però, l'offerta non è tanto la presenza di troppe facoltà di scienza della comunicazione, quanto la sensazione di vivere in un Paese virtuale, dove di laureati in scienza delle comunicazione ce ne vorrebbero eccome, almeno per capire il motivo per cui il "Re della Comunicazione" è anche Presidente del Consiglio. Invece si preferisce relegare questi laureati, che escono da un sistema che invece dovrebbe prendersi cura di loro e accompagnarli nel mondo del lavoro, a una categoria di serie C quando contemporaneamente ci si serve di televisioni grandifratelli nani e ballerini per governare questo Paese.
Se proprio ci deve essere qualcuno che va a fare un lavoro manuale, io ci vedrei molto bene il Ministro Sacconi e altri membri di questo Governo.

domenica 8 febbraio 2009

qualcosa da perdere

Mercoledì era ospite di Parla con me, seduto sul divano rosso e intervistato da Serena Dandini, Alessandro Leogrande, un giornalista che ha scritto un libro sul capolarato, sempre più diffuso in zone come il Tavoliere delle Puglie, dove in estate si organizza la raccolta dei pomodori. La vicenda, già portata all'attenzione del pubblico con le inchieste di Fabrizio Gatti sull'Espresso, è uno dei tanti esempi di nuovo sfruttamento che affondano le loro radici in consuetudini antiche. Tra i tanti episodi raccontati durante l'intervista, uno mi ha colpito in particolare: la storia di alcuni studenti polacchi che erano andati in Puglia per guadagnare qualche soldo con un lavoretto estivo, la raccolta dei pomodori appunto. Quindi, non dei disperati immigrati clandestinamente, ridotti in schiavitù e sfruttati. E cosa li distingueva in particolari dagli altri schiavi del XXI secolo? Semplice, questi ragazzi sono studenti universitari che, consapevoli che proprio grazie i loro studi avevano la possibilità di una vita migliore, sono riusciti a scappare, arrivare al consolato polacco e denunciare. Grazie a questa denuncia molti sfruttatori sono stati arrestati. "Sapevano di avere qualcosa da perdere, mentre tanti altri che vengono assoggettati dai caporali non hanno nulla da perdere e rimangono a raccogliere i pomodori". Ecco, anche io voglio avere qualcosa da perdere.

sabato 7 febbraio 2009

non si può non dire nulla

l'università è importante. ma la facoltà in cui studio, giurisprudenza, ha un'importanza peculiare: si studiano le regole della convivenza civile, delle norme che consentono alla società di tenersi insieme. in questi giorni non si può non aver voglia di urlare di fronte al disprezzo che viene dimostrato per questo sistema. è la forza del diritto che dovrebbe permettere ad un padre, che vuole compiere la volontà della figlia e condurla verso la fine naturale della sua vita, di portare a termine questo compito così doloroso. l'aberrazione più grande di questa vicenda è l'unione tra il contenuto e la forma: non soltanto una sequela di dichiarazioni aberranti di un irresponsabile sovversivo che finge di ricoprire il ruolo di capo di un Governo democraticamente eletto ("può generare un figlio", "ha un bell'aspetto", "ci sono le funzioni vitali, come il ciclo mestruale"...), non soltanto l'ostinazione clericale di voler imporre una legge che vieti a ciascuno di noi di disporre di se stessi dopo essere stati attaccati ad una macchina, non soltanto la mancanza di qualsiasi umanità in questioni tanto delicate quanto complesse; anche il tentatitvo di imporre tutto questo con delle forme che sono al di fuori di qualunque regola democratica e costituzionale. Non c'era la necessità e urgenza per il decreto legge, non ha senso un conflitto di attribuzioni tra magistratura e parlamento su una sentenza, è privo di qualsiasi significato giuridico dire che "i magistrati non possono giudicare in assenza di una legge", visto che è vero l'esatto contrario: il magistrato ha il dovere di emettere un giudizio, anche in assenza di una legge, basandosi sui principi generali dell'ordinamento. Tutte queste cose mi sono state insegnate all'università e mi piacerebbe pensare che, nonostante tutto, abbiano ancora un senso e possano far nascere in tutti la consapevolezza che questa volta la ragione sta da una parte sola, che è la parte della famiglia Englaro.

martedì 3 febbraio 2009

esonero o espiazione?

Eccoci quindi al primo fatto concreto, che mi è successo poche ore fa. E' proprio la rabbia per questo fatto che mi ha portato a cominciare a scrivere.
Oggi alla facoltà di giurisprudenza della Sapienza era previsto l'esonero del diritto del lavoro per sottrarre al programma d'esame le prime 96 pagine del libro di diritto sindacale: l'annuncio del prof. Ghera alla prima lezione del corso sul fatto che sarebbero stati fatti questi esoneri ha contribuito, oltre all'interesse per la materia immagino, a un'assidua frequenza da parte degli studenti per apporre la propria firma sul registro delle presenze. Spesso seduti per terra oppure stretti nei banchi in due su una sedia. L'esonero si è tenuto nella stessa aula delle lezioni, dando quindi per scontato che quelle fossero le condizioni migliori per svolgere una valutazione sulle conoscenza degli studenti in materia di libertà sindacale - probabilmente si presupponeva che al termine dei corsi di studi questo istituto sarebbe stato abolito e quindi non era necessaria una conoscenza approfondita.
Come se non bastasse, alla prova si sono presentati molto più studenti di quelli solitamente presenti: per verificare l'effettivo diritto a partecipare, è quindi iniziato l'appello nominale (dai registri delle presenze, probailmente pieni di firme di "studenti pianisti") con relativa consegna dei documenti. Con l'appello sono anche iniziate le contestazioni di coloro che non venivano chiamati, non risultando nel registro. Ad un certo punto la decisione: si dettano le domande, chi non risulta dai registri può inziare a fare il compito e gli sarà comunicato successivamente se ne ha diritto, dovete rispondere a due domande su otto e non a tre visto che abbiamo perso tempo. Chi può si siede nei banchi, gli altri per terra, dietro le ultime file tutti accampati e pronti a scrivere. O a copiare?
Inizia la prova e iniziano a girare gli assistenti per l'aula: chissà cosa mai potranno cinque-sei persone di fronte alla moltitudine.
A mezz'ora dalla fine al microfono viene annunciato l'appello per la restituzione dei documenti: il massimo per potersi concentrare, dal momento che la lettura degli oltre trecento malcapitati avrebbe impiegato fino al momento della consegna. Fortunatamente il tentativo fallisce tra le proteste.
Il momento della consegna. Sembrava la fermata della metropolitana all'ora di punta. Consegnare il compito, firmare il relativo foglio, ritirare il documento. Delirio. Gl sventurati assistenti escono dall'aula e si dividono come possono le carte di identità, c'è la lezione di penale che deve cominciare.
E' di poche settimane fa la notizie di grandi tumulti alle prove scritte per il concorso di magistratura: saranno stati abituati a fare gli esami in aula 3, quegli aspiranti tutori della legge?

intro

C'è un'emergenza nazionale. E non è la crisi economica, la mancanza di un Obama nella sinistra italiana, la criminalità causata dagli immigrati clandestini. C'è un'emergenza che è un buco nero nel nostro Paese, che contribuirà a spingerlo nel precipizio e di fronte alla quale tutte le persone che hanno a cuore la cosa pubblica dovrebbero avere un moto di insurrezione. Questa emergenza si chiama università.
Non è vero che l'università, come si dice, non è un problema né di destra né di sinistra. E' un problema sia di destra sia di sinistra nel senso che è la vittima di logiche assolutamente trasversali che l'hanno trasformata in qualcosa di completamente diversa dal fulcro del sistema formativo che invece dovrebbe essere chiamata a rappresentare. A essere o di destra o di sinistra sono le soluzioni per uscire da questo baratro: si può decidere che la situazione si risolve affidando al privato e al mercato la decisione su cosa insegnare e come insegnarlo, oppure pensare che riconsegnare all'università le speranze delle generazioni future sia la strada per una società più giusta, più accogliente, più libera.
Non è grillismo qualunquista affermare che nell'università si intrecciano un'infinita serie di interessi che non hanno nulla a che fare con la trasmissione delle conoscenze, che dovrebbe essere invece l'obiettivo principale di questa istituzione; né raccontare quello che quotidianamente accade nelle nostre facoltà per dimostrare che dietro al disinteresse di tanti professori e assistenti c'è il fallimento di una generazione che non ha intenzione di mettere nelle mani di quelle successive il futuro, di cui queste dovrebbero poter disporre, e la possibilità di costruire un altro mondo possibile.
Sembra banale e limitativo, ma non ci si rende conto che con un diverso funzionamento dell'università molte questioni della nostra vita politico-sociale sarebbero diverse: le questioni del lavoro, per esempio, perché un'università di questo tipo non fa altro che produrre futuri lavoratori che saranno tanto più soggetti alla precarietà quanto più è grande la carenza degli strumenti in loro possesso, o meglio che avrebbero dovuto ricevere e di cui invece l'università li ha privati.
Io voglio raccontare per dissacrare l'immboilità di cui in troppe facoltà ci si serve per preservare posizioni di potere, togliendo l'ossigeno alla società del futuro. Penso che sia il momento della resistenza contro un sistema ingiusto, che ha un totale disprezzo per coloro che invece dovrebbero essere formati nel nome dell'uguaglianza.
Tutti sanno ciò che un sistema come questo produce: coloro che sono cresciuti in case piene di libri e in ambienti fertili per la conoscenza del mondo - non parlo neanche di raccomandazioni - contro chi vuole prendere nelle proprie mani la sua esistenza e non ne ha la possibilità. In mezzo, un'istituzione che dovrebbe mettere in comunicazione e bilanciare la situazioni diverse, ma non lo fa, insieme a coloro che approfittano di questo sistema per ottenere il massimo con il minimo sforzo.
Io non voglio essere complice.